QUANDO LO STATO RIVENDICA
L’ETICITÁ, LA PAIDEIA
HA FALLITO
(Sull’arresto di uno studente, all’interno del Liceo Statale
VIRGILIO di Roma)
Non è indispensabile rileggere i tre volumi di Werner Jaeger su: La
formazione dell’uomo greco, per restituire alla prassi
educativa e alla sua storia nonché a chi ne è titolare o presume di
esserlo, il proprio ruolo e le proprie responsabilità. I fatti
accaduti in questi giorni e in quella che, un tempo, tra i licei
romani, era la scuola più democratica, intellettualmente vivace e
aperta al confronto, sono un vulnus inflitto a tutto il
sistema dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Al tempo
stesso, da parte dello Stato, non rappresentano una conquista
significativa della lotta alla criminalità o del contrasto alla
diffusione di droghe leggere tra i giovani e nelle scuole. Le
modalità con cui si è svolta l’operazione di arresto hanno la
parvenza di quelle solite della cattura di superlatitante o di
pericolosissimo boss. Operazione certamente pianificata con la dovuta
collaborazione della dirigenza.
Come docente titolare del Liceo statale Virgilio, non avrei voluto
scrivere su quanto è accaduto, ma sono costretto a farlo almeno per
due motivi: 1. dopo aver letto quanto altri, anche estranei al
contesto della scuola, hanno scritto e dichiarato ai mezzi di
informazione; 2. per tentare di capire qual è l’avvenire delle
nostre scuole (certamente al di là delle suggestioni nietzschiane),
in relazione alla tradizione del passato, appunto, della paideia.
Tento di farlo per ciò che ritengo mi competa, innanzitutto come
testimone diretto dei fatti, e come docente della scuola in questione
che si dissocia radicalmente dal contenuto della lettera pubblicata
su Il Messaggero, il 26/03/2016, a firma: i docenti del
Virgilio. Io non sono stato informato di questa iniziativa né ho
sottoscritto tale lettera! Se altri docenti hanno ritenuto di farlo,
rispetto la loro posizione, pur non condividendola. Io esprimo quella
mia personale, in base alle libertà e garanzie costituzionali delle
quali spero di poter ancora godere e avvalermi sia come cittadino
italiano sia come impiegato della Pubblica Amministrazione.
Comincio con una testimonianza personale. Mercoledì 23 marzo, il
giorno successivo all’arresto a scuola del nostro alunno, mi
trovavo in una classe a fare lezione. Dopo la ricreazione, tre alunne
della stessa scuola si sono presentate, affermando di essere della
classe I H e hanno chiesto di leggere una circolare che la dirigente
scolastica aveva loro detto di far girare per le classi. Ho fatto
presente alle stesse che la consegna delle circolari è compito del
personale ATA, in quanto le circolari vanno notificate, con firma su
apposito registro, ai docenti nelle rispettive classi e che gli
alunni non possono né sono, ad alcun titolo, tenuti a farlo. Le
studentesse, alquanto indispettite, hanno replicato testualmente: «Ma
a noi ci ha autorizzato la preside perché dobbiamo fare un’assemblea
contro quelle bestie [sic!] che questa mattina protestavano
qui sotto.» Ho ammonito le studentesse sull’uso dell’appellativo
“bestia” riferito ai loro compagni di scuola, dicendo che le
bestie stanno o allo zoo o in campagna e le ho invitate a lasciare
l’aula nella quale mi trovavo, davanti agli alunni di quella classe
che erano increduli e indignati per le affermazioni udite da quelle
tre studentesse. Di tutto questo ho apposto nota sul registro di
classe, chiedendo un chiarimento e un provvedimento alla dirigente
scolastica.
Veniamo alla considerazione dei dati. Il giorno 23 marzo la scuola
era, si può dire, vuota. Ho fatto un giro per i piani perché gli
alunni della classe dove avrei dovuto svolgere le prime ore di
lezione erano tutti assenti. Molti docenti si trovavano nella sala
del consiglio coi registri in mano. Un gruppo di genitori si era lì
recato per il ricevimento dei docenti, non avendo però letto la
comunicazione, emanata solo due giorni prima, con la quale il
ricevimento dei genitori era stato sospeso proprio in concomitanza
[scil. previsione] con la data dell’operazione di arresto dello
studente. All’interno dell’edificio di via Giulia ci saranno
state poco più di cento persone. Basterebbe consultare i registri di
classe per verificare le assenze degli studenti in quel giorno. Fuori
dalla scuola c’erano, numerosissimi, gli studenti che protestavano
in corteo. A casa era rimasta l’altra grande parte della
popolazione studentesca che ha protestato in silenzio. È un dato
oggettivo che non si è trattato di “gruppi minoritari”, “della
minoranza”, di “cento studenti”, di “esiguo gruppo” se ci
si vuol riferire a chi ha espresso dissenso e preoccupazione per ciò
che è accaduto il giorno prima. La folla di studenti che si era
prima organizzata in corteo e che, dopo, essendo rimasta assediata -
da un lato dai blindati della polizia e dall’altro dallo stesso
personale scolastico che ne ha impedito l’ingresso a scuola,
sbarrando il portone - aveva chiesto, avendone lo stesso diritto di
chi si trovava già dentro la scuola, di poter prender parte a
un’assemblea straordinaria, convocata solo lo stesso giorno, a
partire dalle ore 11,15 e d’autorità, e che perciò ha avuto luogo
per i soli pochi alunni presenti all’interno delle mura
dell’edificio. Dentro i buoni, fuori i cattivi. Ecco il messaggio
che la dirigenza scolastica in nome della “buona scuola”, ha
voluto trasmettere. A stabilire chi fossero i buoni e i cattivi è
stata ancora la dirigenza scolastica e il suo entourage. Tali prese
di posizione estreme vanificano e alterano i contenuti della legge
107 (buona scuola), con l’inevitabile conseguenza di generare
proteste più vivaci e veramente violente.
Se fosse stato un “esiguo” gruppo di manifestanti, “cento”
studenti, non si sarebbe certo impegnata e mobilitata tutta quella
forza pubblica e perfino coi blindati e in tenuta antisommossa, come
quella che tutti hanno potuto vedere, o anche riprendere, come nelle
foto pubblicate sui giornali.
Da tale contesto emergono altre imprecisioni o, se dovessimo
chiamarle col loro giusto nome, falsità. La prima e più inquietante
è: i manifestanti, studenti e genitori, hanno protestato al fine di
rivendicare la libertà di spaccio e il consumo di droga all’interno
della scuola e per difendere una sorta di “extraterritorialità”,
sottratta al controllo della legge. L’altra, non meno preoccupante,
che la mobilitazione e la protesta del cosiddetto “gruppo
minoritario” è motivata (come ha dichiarato testualmente la
stessa dirigente scolastica a Radio 24mattino, il 23/03/2016 in: La
polizia nelle scuole) da «interessi esterni molto forti.
Interessi eversivi, antagonismo politico estremista, molto pericoloso
che cerca di attecchire nelle scuole». Più volte e in diverse sedi,
non solo giornalistiche, la dirigente scolastica ha parlato di questi
alunni, indicandoli come «persone violente».
Se queste ultime due circostanze fossero vere, la così tanto
magnificata azione educativa e culturale che le numerose quanto
autoreferenziali iniziative (progetti, convegni, corsi, conferenze
ecc.), che il liceo ha organizzato e che reclamizza sul proprio sito
come “ricco programma di attività” dalle quali dipende “il
buon nome e l’illuminato operato del nostro Liceo”, sono state
inefficaci. Solo fumo (per… rimanere in tema), ma niente arrosto. I
termini della contraddizione sono sotto gli occhi di tutti. Tentiamo
di evidenziarli.
Il primo dato è quello della fomentazione faziosa, mirata a dividere
e non ad unire. L’episodio, prima riferito, delle alunne e della
circolare è uno dei tanti che si verificano quotidianamente
all’interno del liceo. Il fatto assume maggiore gravità se si
considera che quelle alunne sono del primo anno e vengono già
incitate alla discriminazione dei loro compagni (appellandoli come
“bestie”), anche quando questi ultimi possano trovarsi non solo
in dissenso, ma anche in errore. Qual è il ruolo della scuola, dei
docenti, di un’istituzione educativa? Quello di emarginare o quello
di recuperare e includere? Questo compito, in un contesto normale,
spetterebbe a chi sta più in alto. Il dualismo manicheo si è invece
sostituito alla pratica educativa dell’inclusione, del dialogo e
del confronto aperto, rispettoso anche con chi la pensa in altro modo
e ritiene di dover esprimere una critica costruttiva, nella prassi
della dialettica e della democrazia, non della demagogia, del
populismo o del paternalismo. Sembra che in un tale stato di cose la
scuola prepari non cittadini per una Polis, ma squadristi per
l’assalto, inquisitori delle altrui coscienze e boia dei
dissidenti. Infatti, non risulta agli atti e alle cronache, nelle
dichiarazioni rilasciate dalla parte cosiddetta movimentista, un solo
cenno alla difesa dello spaccio o del consumo, bensì il contrario.
Sia studenti sia genitori hanno - nel poco spazio che i mezzi di
informazione hanno loro concesso - esplicitamente dichiarato di
essere contro il consumo di droghe a scuola e in generale. Di questi
fatti è stata diffusa invece una diversa notizia: la dirigente
difende la legalità, i genitori e gli alunni, l’illegalità e
l’estremismo politico. Il quadrato difensivo che la dirigente ha
mobilitato attorno a sé, coinvolgendo perfino i docenti responsabili
dei dipartimenti, che si dovrebbero occupare di programmazione
didattica e non di difesa d’ufficio del dirigente, è sintomatico
di una strutturale debolezza.
Da quando insegno al Virgilio non ho mai avuto la minima percezione
di estremismi politici eversivi né di neoformazioni delle BR o dei
NAR. Prima di me, se ciò fosse stato vero, la presenza di forze o
organizzazioni eversive l’avrebbero rilevata i contingenti dei
servizi di informazione e sicurezza, la Digos e il Ministero
dell’Interno. Non so pertanto a che titolo la dirigente rilasci
illazioni simili. Quello che invece mi ha disgustato è stata la
cancellazione della scritta “Virgilio Antifascista” che gli
studenti avevano apposto su un murales decorativo, realizzato nel
cortile dell’istituto. La dirigente scolastica lo ha fatto
cancellare affermando che quella scritta incitava alla violenza e
all’odio. Mi sono soltanto chiesto se l’Antifascismo di Amendola,
di Calamandrei e l’Unità Antifascista e lo spirito della
Resistenza che tentiamo di insegnare e trasmettere durante le lezioni
di storia e che stanno alla base della nostra Costituzione, siano,
secondo il dettame della dirigente scolastica, anch’essi da
cancellare. Nei dettagli poi, l’abnormità di alcune prese di
posizione, che oserei definire “pretoriane”, sconfina
nell’incredibile. Ad esempio, la signora Matteucci, presidentessa
del Consiglio di istituto, già nota per la sua iniziativa di aver
scritto al Capo dello Stato per chiedere lo sgombro del liceo
occupato nei mesi scorsi, e legittimata a farlo unicamente dalla sua
autoconvinzione di poter trattare da presidente a Presidente, anche
questa volta ha perso una preziosa occasione per non scadere nel
ridicolo. Più che nel ridicolo, forse, questa volta, nel più
preoccupante e sgradevole sciacallaggio mediatico. Lo ha fatto quando
ha paragonato, non certo implicitamente, l’uso delle droghe leggere
e la fattispecie del nostro studente, agli efferati assassini di Luca
Varani. Certo, tra 1.500 euro di cocaina, consumata ininterrottamente
per tre giorni e infarcita di altri prodotti allucinogeni e un grammo
e mezzo di hashish, ceduto per pochi euro, la presidentessa non è
riuscita a cogliere la sostanziale differenza e gravità. Come se ciò
non bastasse, la “somma” presidentessa si è anche sentita in
dovere di valutare e giudicare l’operato della precedente dirigente
scolastica, dichiarando a Repubblica il 23 marzo 2016, con
straordinaria e lucida inesattezza che durante la dirigenza della
preside Emilia Marano (che secondo la presidentessa sarebbe stata
reggente e non preside titolare) il Virgilio era abbandonato a se
stesso e che solo da tre anni, con la nuova dirigente le regole
vengono fatte rispettare. La presidentessa ignora o vuole ignorare
che il liceo proprio in uno dei due anni della titolarità (e non
reggenza) della preside Marano non fu occupato dagli studenti,
proprio perché non c’era alcun motivo per farlo, grazie alla
straordinaria capacità di dialogo e mediazione umana e culturale che
quella dirigente esercitò sull’intera comunità scolastica. L’anno
successivo gli studenti occuparono, come sempre sulla base di una
motivazione politica, e in concomitanza con numerosi altri licei
romani. La presidentessa Matteucci, inoltre, non sembra e di fatto
non è la voce né unanime né maggioritaria dei genitori del
Virgilio. Il liceo ha costituito, come è ben noto, un comitato
genitori ed eletto un presidente: Roberto Caracciolo. A chiunque
visiti il sito www.liceovirgilioroma.eu
, è palese che il comitato genitori, quindi la maggioranza di chi ha
votato il presidente dello stesso comitato, non è espressione di
quella linea di pensiero e di azione che la dirigente scolastica e la
sua presidentessa del Consiglio di istituto si ostinano a propalare.
Si abbia quindi il coraggio e l’onestà di dire e riconoscere che
il liceo Virgilio vive e subisce al proprio interno una condizione di
profonda e già lunga sofferenza, di disagio e di divisioni odiose
che tendono a escludere o mettere alla porta con ogni mezzo
possibile, chi osa dissentire o proporre quanto non rientra nei piani
mirati della dirigenza, e di chi ne trae utilità diverse, non meno e
nella fattispecie, dalla maggioranza selezionata, all’interno del
consiglio di istituto, del quale lo studente arrestato faceva parte.
Lo studente arrestato, Luca Giordano, è stato per un anno mio
alunno e avrebbe continuato ad esserlo se la dirigente scolastica non
mi avesse rimosso – nonostante i numerosi dissensi degli alunni -
da quella classe e anche da altre. Le ragioni con le quali la
dirigente mi motivò l’allontanamento da quella classe le potrei
comunicare solo al pubblico ministero titolare del procedimento,
qualora lo ritenesse opportuno. Per quanto io possa attestare dalla
mia conoscenza dello studente e per l’esperienza maturata anche di
altri contesti, ritengo che non si tratti di persona più
problematica di quelle presenti e comuni in tutte le scuole, connesse
anche ad una fase della crescita e dello sviluppo della coscienza che
ogni persona, in modo sempre diverso, vive e afferma. Ritengo con
maggior certezza che, nel caso di Luca, non si tratti di individuo
criminale né di contesto familiare o socio-culturale deprivato di
modelli e pratiche dalla forte connotazione civile ed etica. Il
trattamento che però gli è stato riservato, rischia di equipararlo
ad avvezzo malfattore. Questa assunzione di falsa identità che Luca
ha dovuto subire nel luogo dove egli stesso ha ammesso di aver
commesso errori, dove è stata organizzata la sua “cattura” e
dove si vivono gli anni più belli della vita, è tristemente
rivelata dall’appellativo col quale Luca si è firmato nella
lettera che tutti conosciamo: uno spacciatore. Benché gli
elementi per provare il reato sono innegabili, la competenza di ogni
valutazione e giudizio sarà delle sedi proprie e tra le parti, nel
processo che si terrà.
Tornando alla situazione generale del liceo Virgilio, del quale
questa esperienza rappresenta un’acme, su alcuni dati oggettivi,
documentati e inconfutabili ci si deve assolutamente interrogare.
Essi sono i seguenti: il piano dell’offerta formativa triennale
(PTOF), votato a maggioranza nel consiglio di istituto con l’unanime
voto contrario della rappresentanza degli studenti e della
maggioranza dei genitori; l’elevatissima richiesta di nulla osta
(più di cento), da ottobre a febbraio, per il trasferimento di
alunni ad altra scuola; la palese spaccatura nelle votazioni
all’interno del collegio docenti; il ricorso, fino al parossismo,
dei cosiddetti “consigli di disciplina” con convocazione
dell’intero consiglio di classe, al fine di irrogare sanzioni
disciplinari gravissime, per questioni sulle quali la pedagogia del
dialogo, la responsabilizzazione e la fiducia avrebbero potuto
sortire effetti migliori; il bassissimo numero di iscrizioni,
rispetto a quello che si registrava fino a tre anni fa, e che
quest’anno è ancora di più diminuito, con conseguente riduzione
della formazione delle prime classi nonché del numero dell’organico
dei docenti. Questo ultimo dato costituisce una vera perdita poiché
tanto nell’utenza, quanto nel corpo docenti, il Virgilio ha vantato
storicamente frequentazioni illustri. Tra gli ex alunni, oltre che
nel passato Elsa Morante, sono passati dal Virgilio e ancora oggi lo
frequentano figli di esponenti politici e di governo, come anche di
dirigenti del settore pubblico e di famosi giornalisti, i cui nomi
sono noti a tutti. Tra i docenti, ad esempio, la validissima
professoressa (oggi in pensione) di italiano e latino Maria Rosaria
Severino, sorella della ex ministra della Giustizia, Paola, nel
governo tecnico Monti (dal partito di Monti, è noto, proviene
l’attuale ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, prima del
suo passaggio al Partito Democratico renziano); più indietro nel
tempo, il professor Vinci Verginelli che ha donato la sua ricchissima
e preziosa biblioteca di rari testi ermetici e rinascimentali alla
biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei. È un vero peccato
che un liceo così prestigioso sia finito sulle cronache nazionali
solo per un grammo e mezzo di hashish o per l’occupazione di due
settimane. Le scritte dentro e fuori i muri della scuola che invitano
la dirigente ad andarsene, sono rivelatrici di una sofferenza
diffusa, prolungata e divenuta, oggi, insostenibile. Anche
all’interno del corpo docenti si vive questo disagio. Non per
ultimo, tra questi dati vanno messi in evidenza: il risultato delle
elezioni, svoltesi il 28 ottobre scorso, per il rinnovo della
componente alunni, all’interno del consiglio di istituto e quelli
per il rinnovo della rappresentante docenti RSU. La lista n. 1,
composta e sostenuta dagli stessi alunni che oggi risulterebbero
incriminati, e definiti come “persone violente” e “esigua
minoranza”, ha ottenuto 813 preferenze e conquistato tre seggi su
quattro. L’altra, la n. 2, preferita apertamente dalla dirigente
scolastica, ha ottenuto 399 voti. Anche nelle elezioni per il
rinnovo della RSU, ha ampiamente prevalso nei risultati il voto dei
docenti che mirano all’unità della scuola, che vorrebbero un clima
più sereno e imparziale e che sono estranei ad ogni compiacenza
della dirigente.
Come si fa, allora, a parlare di “esigua minoranza”?
Non tocca a me né a nessun altro che non sia investito dei poteri
che la Costituzione assegna alla Magistratura, soprattutto con
l’articolo 112, e agli imputati con i primi due commi dell’articolo
27, valutare o giudicare se quello che è accaduto sia stato giusto o
sbagliato. Questo dovrebbe valere, oltre che per i firmatari della
lettera inviata a Il Messaggero, in primo luogo per la
dirigente scolastica che, sulla pelle di un alunno, si è riempita la
bocca della parola “Stato”, identificando o scambiando azione
educativa con intervento repressivo. L’azione educativa
non si espleta esclusivamente in convegni e conferenze o in
passerelle che della legalità e del sentimento della legge sono solo
la forma. L’azione educativa si espleta, colpisce e rivela la sua
efficacia solo se si riesce a parlare quotidianamente allo spirito
degli interlocutori, di tutti gli interlocutori, soprattutto di
quelli ritenuti più lontani e dissidenti. Insegnare ed educare
significa principalmente mettersi nelle condizioni di apprendere da
chi ha un pensiero o un sentimento che non è il nostro e dal quale
possiamo trarre nuovi sensi dalle cose e dall’esistenza comune.
Sicuramente, anch’io, come docente, non sono riuscito a trasmettere
quel messaggio forte ed efficace che avrebbe potuto evitare ciò che
invece è accaduto. Riconosco, pertanto, in tutto ciò anche i miei
limiti e le mie responsabilità.
Mi chiedo: quante volte, ad esempio, e con quale spirito o
atteggiamento, Luca o altri alunni ritenuti problematici o giudicati
“violenti”, siano stati chiamati individualmente in presidenza o
anche a colloquio da quei docenti che magnificano attività culturali
eccellenti e che contribuiscono all’”illuminato operato del
liceo”, per cercare di capire l’uomo e prepararlo alla vita e non
per raccogliere le prove per farli incriminare?
Chiunque vive il mondo della scuola, della paideia come scelta
di vita e non di mestiere o di carriera, deve vivere
contemporaneamente questa responsabilità e sentirsi coinvolto, in
prima persona, per tutto ciò che accade. Non abbiamo saputo
custodire quanto ci è stato affidato dallo Stato e perciò la
risposta che oggi qualcuno deve dare non può essere diversa da
quella che Caino diede a Dio quando Dio gli chiese: «Caino, dov’è
tuo fratello?» e Caino che aveva ucciso suo fratello, rispose: «Non
lo so, Signore, sono forse io il custode di mio fratello?» Ecco,
allora, che si invoca lo Stato, lo Stato etico in grado di assorbire
e neutralizzare i limiti e le incapacità di chi con lo stesso Stato
ha firmato un contratto e nel medesimo Stato cerca tutela e
giustificazione e, nel caso peggiore, si dà una identità che prima
non avrebbe mai potuto avere. «Tutto nello Stato, niente al di fuori
dello Stato, e soprattutto niente contro lo Stato». Così tuonavano
lapidarie, da Milano, il 28 ottobre 1925, le parole del duce del
fascismo Mussolini, mentre Giovanni Gentile, il filosofo
dell’attualismo, aveva già da un pezzo elaborato il Sommario di
pedagogia come scienza filosofica. Solo che, in molti punti, la
scuola di Stato di Gentile non coincide con la scuola fascista,
obbligata invece a fornire unicamente cittadini obbedienti e servili.
Quando lo Stato etico si intreccia col mito del duce e interviene
all’interno, nel cuore dello spazio della formazione e della
crescita, in quel sacrario dove si espleta l’attività educativa e
si compie la più alta esperienza dello spirito umano,“colpendo uno
per educarne cento”, la paideia ha sperimentato il proprio
fallimento e ha ceduto le armi della scienza e la forza dello spirito
e del sapere a quella, pur legittima, dei drappelli, costretti dallo
stesso Stato a supplire o surrogare la negligenza o l’incapacità
di chi avrebbe potuto certamente evitare, in quel luogo e in quel
caso, il loro sconvolgente intervento.
Infine, altrettanto tuonanti e lapidarie sono state le parole della
dirigente scolastica, alla Radio 24, nel corso della già citata
intervista: «è un combattimento. Vale la pena farlo per il bene
dell’Italia». Già, per il bene dell’Italia…! Corsi e ricorsi
storici, avrebbe sostenuto il Vico della Scienza nuova.
Infatti, per essere più esplicitamente coerenti col pensiero della
attuale dirigenza scolastica: «Pronti, ieri, oggi, domani al
combattimento per l’onore dell’Italia» dovrebbe essere
l’iscrizione che, da subito, si potrebbe apporre all’ingresso del
liceo Virgilio e che andrebbe a sostituire quella tratta dal VII
libro dell’Eneide e che con le stesse finalità nell’anno XVI
dell’era fascista, venne scolpita sull’ingresso dell’edificio
nuovo, sul Lungotevere: HINC
PROGENIEM VIRTUTE FUTURAM EGREGIAM.
Il verso però continua: ET
TOTUM QUAE VIRIBUS OCCUPET ORBEM. La traduzione è la seguente
e non ha bisogno di ulteriore commento: Avrebbe avuto progenie
egregia di valore, da sottomettere il mondo con la forza.
Prof. Dr. Phil. Maurizio
Cosentino
Docente
titolare di filosofia nel Liceo Statale Virgilio