martedì 29 marzo 2016

QUANDO LO STATO RIVENDICA L’ETICITÁ, LA PAIDEIA HA FALLITO. Sull’arresto di uno studente, all’interno del Liceo Statale VIRGILIO di Roma


QUANDO LO STATO RIVENDICA L’ETICITÁ, LA PAIDEIA HA FALLITO
(Sull’arresto di uno studente, all’interno del Liceo Statale VIRGILIO di Roma)



Non è indispensabile rileggere i tre volumi di Werner Jaeger su: La formazione dell’uomo greco, per restituire alla prassi educativa e alla sua storia nonché a chi ne è titolare o presume di esserlo, il proprio ruolo e le proprie responsabilità. I fatti accaduti in questi giorni e in quella che, un tempo, tra i licei romani, era la scuola più democratica, intellettualmente vivace e aperta al confronto, sono un vulnus inflitto a tutto il sistema dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Al tempo stesso, da parte dello Stato, non rappresentano una conquista significativa della lotta alla criminalità o del contrasto alla diffusione di droghe leggere tra i giovani e nelle scuole. Le modalità con cui si è svolta l’operazione di arresto hanno la parvenza di quelle solite della cattura di superlatitante o di pericolosissimo boss. Operazione certamente pianificata con la dovuta collaborazione della dirigenza.
Come docente titolare del Liceo statale Virgilio, non avrei voluto scrivere su quanto è accaduto, ma sono costretto a farlo almeno per due motivi: 1. dopo aver letto quanto altri, anche estranei al contesto della scuola, hanno scritto e dichiarato ai mezzi di informazione; 2. per tentare di capire qual è l’avvenire delle nostre scuole (certamente al di là delle suggestioni nietzschiane), in relazione alla tradizione del passato, appunto, della paideia. Tento di farlo per ciò che ritengo mi competa, innanzitutto come testimone diretto dei fatti, e come docente della scuola in questione che si dissocia radicalmente dal contenuto della lettera pubblicata su Il Messaggero, il 26/03/2016, a firma: i docenti del Virgilio. Io non sono stato informato di questa iniziativa né ho sottoscritto tale lettera! Se altri docenti hanno ritenuto di farlo, rispetto la loro posizione, pur non condividendola. Io esprimo quella mia personale, in base alle libertà e garanzie costituzionali delle quali spero di poter ancora godere e avvalermi sia come cittadino italiano sia come impiegato della Pubblica Amministrazione.
Comincio con una testimonianza personale. Mercoledì 23 marzo, il giorno successivo all’arresto a scuola del nostro alunno, mi trovavo in una classe a fare lezione. Dopo la ricreazione, tre alunne della stessa scuola si sono presentate, affermando di essere della classe I H e hanno chiesto di leggere una circolare che la dirigente scolastica aveva loro detto di far girare per le classi. Ho fatto presente alle stesse che la consegna delle circolari è compito del personale ATA, in quanto le circolari vanno notificate, con firma su apposito registro, ai docenti nelle rispettive classi e che gli alunni non possono né sono, ad alcun titolo, tenuti a farlo. Le studentesse, alquanto indispettite, hanno replicato testualmente: «Ma a noi ci ha autorizzato la preside perché dobbiamo fare un’assemblea contro quelle bestie [sic!] che questa mattina protestavano qui sotto.» Ho ammonito le studentesse sull’uso dell’appellativo “bestia” riferito ai loro compagni di scuola, dicendo che le bestie stanno o allo zoo o in campagna e le ho invitate a lasciare l’aula nella quale mi trovavo, davanti agli alunni di quella classe che erano increduli e indignati per le affermazioni udite da quelle tre studentesse. Di tutto questo ho apposto nota sul registro di classe, chiedendo un chiarimento e un provvedimento alla dirigente scolastica.
Veniamo alla considerazione dei dati. Il giorno 23 marzo la scuola era, si può dire, vuota. Ho fatto un giro per i piani perché gli alunni della classe dove avrei dovuto svolgere le prime ore di lezione erano tutti assenti. Molti docenti si trovavano nella sala del consiglio coi registri in mano. Un gruppo di genitori si era lì recato per il ricevimento dei docenti, non avendo però letto la comunicazione, emanata solo due giorni prima, con la quale il ricevimento dei genitori era stato sospeso proprio in concomitanza [scil. previsione] con la data dell’operazione di arresto dello studente. All’interno dell’edificio di via Giulia ci saranno state poco più di cento persone. Basterebbe consultare i registri di classe per verificare le assenze degli studenti in quel giorno. Fuori dalla scuola c’erano, numerosissimi, gli studenti che protestavano in corteo. A casa era rimasta l’altra grande parte della popolazione studentesca che ha protestato in silenzio. È un dato oggettivo che non si è trattato di “gruppi minoritari”, “della minoranza”, di “cento studenti”, di “esiguo gruppo” se ci si vuol riferire a chi ha espresso dissenso e preoccupazione per ciò che è accaduto il giorno prima. La folla di studenti che si era prima organizzata in corteo e che, dopo, essendo rimasta assediata - da un lato dai blindati della polizia e dall’altro dallo stesso personale scolastico che ne ha impedito l’ingresso a scuola, sbarrando il portone - aveva chiesto, avendone lo stesso diritto di chi si trovava già dentro la scuola, di poter prender parte a un’assemblea straordinaria, convocata solo lo stesso giorno, a partire dalle ore 11,15 e d’autorità, e che perciò ha avuto luogo per i soli pochi alunni presenti all’interno delle mura dell’edificio. Dentro i buoni, fuori i cattivi. Ecco il messaggio che la dirigenza scolastica in nome della “buona scuola”, ha voluto trasmettere. A stabilire chi fossero i buoni e i cattivi è stata ancora la dirigenza scolastica e il suo entourage. Tali prese di posizione estreme vanificano e alterano i contenuti della legge 107 (buona scuola), con l’inevitabile conseguenza di generare proteste più vivaci e veramente violente.
Se fosse stato un “esiguo” gruppo di manifestanti, “cento” studenti, non si sarebbe certo impegnata e mobilitata tutta quella forza pubblica e perfino coi blindati e in tenuta antisommossa, come quella che tutti hanno potuto vedere, o anche riprendere, come nelle foto pubblicate sui giornali.
Da tale contesto emergono altre imprecisioni o, se dovessimo chiamarle col loro giusto nome, falsità. La prima e più inquietante è: i manifestanti, studenti e genitori, hanno protestato al fine di rivendicare la libertà di spaccio e il consumo di droga all’interno della scuola e per difendere una sorta di “extraterritorialità”, sottratta al controllo della legge. L’altra, non meno preoccupante, che la mobilitazione e la protesta del cosiddetto “gruppo minoritario” è motivata (come ha dichiarato testualmente la stessa dirigente scolastica a Radio 24mattino, il 23/03/2016 in: La polizia nelle scuole) da «interessi esterni molto forti. Interessi eversivi, antagonismo politico estremista, molto pericoloso che cerca di attecchire nelle scuole». Più volte e in diverse sedi, non solo giornalistiche, la dirigente scolastica ha parlato di questi alunni, indicandoli come «persone violente».
Se queste ultime due circostanze fossero vere, la così tanto magnificata azione educativa e culturale che le numerose quanto autoreferenziali iniziative (progetti, convegni, corsi, conferenze ecc.), che il liceo ha organizzato e che reclamizza sul proprio sito come “ricco programma di attività” dalle quali dipende “il buon nome e l’illuminato operato del nostro Liceo”, sono state inefficaci. Solo fumo (per… rimanere in tema), ma niente arrosto. I termini della contraddizione sono sotto gli occhi di tutti. Tentiamo di evidenziarli.
Il primo dato è quello della fomentazione faziosa, mirata a dividere e non ad unire. L’episodio, prima riferito, delle alunne e della circolare è uno dei tanti che si verificano quotidianamente all’interno del liceo. Il fatto assume maggiore gravità se si considera che quelle alunne sono del primo anno e vengono già incitate alla discriminazione dei loro compagni (appellandoli come “bestie”), anche quando questi ultimi possano trovarsi non solo in dissenso, ma anche in errore. Qual è il ruolo della scuola, dei docenti, di un’istituzione educativa? Quello di emarginare o quello di recuperare e includere? Questo compito, in un contesto normale, spetterebbe a chi sta più in alto. Il dualismo manicheo si è invece sostituito alla pratica educativa dell’inclusione, del dialogo e del confronto aperto, rispettoso anche con chi la pensa in altro modo e ritiene di dover esprimere una critica costruttiva, nella prassi della dialettica e della democrazia, non della demagogia, del populismo o del paternalismo. Sembra che in un tale stato di cose la scuola prepari non cittadini per una Polis, ma squadristi per l’assalto, inquisitori delle altrui coscienze e boia dei dissidenti. Infatti, non risulta agli atti e alle cronache, nelle dichiarazioni rilasciate dalla parte cosiddetta movimentista, un solo cenno alla difesa dello spaccio o del consumo, bensì il contrario. Sia studenti sia genitori hanno - nel poco spazio che i mezzi di informazione hanno loro concesso - esplicitamente dichiarato di essere contro il consumo di droghe a scuola e in generale. Di questi fatti è stata diffusa invece una diversa notizia: la dirigente difende la legalità, i genitori e gli alunni, l’illegalità e l’estremismo politico. Il quadrato difensivo che la dirigente ha mobilitato attorno a sé, coinvolgendo perfino i docenti responsabili dei dipartimenti, che si dovrebbero occupare di programmazione didattica e non di difesa d’ufficio del dirigente, è sintomatico di una strutturale debolezza.
Da quando insegno al Virgilio non ho mai avuto la minima percezione di estremismi politici eversivi né di neoformazioni delle BR o dei NAR. Prima di me, se ciò fosse stato vero, la presenza di forze o organizzazioni eversive l’avrebbero rilevata i contingenti dei servizi di informazione e sicurezza, la Digos e il Ministero dell’Interno. Non so pertanto a che titolo la dirigente rilasci illazioni simili. Quello che invece mi ha disgustato è stata la cancellazione della scritta “Virgilio Antifascista” che gli studenti avevano apposto su un murales decorativo, realizzato nel cortile dell’istituto. La dirigente scolastica lo ha fatto cancellare affermando che quella scritta incitava alla violenza e all’odio. Mi sono soltanto chiesto se l’Antifascismo di Amendola, di Calamandrei e l’Unità Antifascista e lo spirito della Resistenza che tentiamo di insegnare e trasmettere durante le lezioni di storia e che stanno alla base della nostra Costituzione, siano, secondo il dettame della dirigente scolastica, anch’essi da cancellare. Nei dettagli poi, l’abnormità di alcune prese di posizione, che oserei definire “pretoriane”, sconfina nell’incredibile. Ad esempio, la signora Matteucci, presidentessa del Consiglio di istituto, già nota per la sua iniziativa di aver scritto al Capo dello Stato per chiedere lo sgombro del liceo occupato nei mesi scorsi, e legittimata a farlo unicamente dalla sua autoconvinzione di poter trattare da presidente a Presidente, anche questa volta ha perso una preziosa occasione per non scadere nel ridicolo. Più che nel ridicolo, forse, questa volta, nel più preoccupante e sgradevole sciacallaggio mediatico. Lo ha fatto quando ha paragonato, non certo implicitamente, l’uso delle droghe leggere e la fattispecie del nostro studente, agli efferati assassini di Luca Varani. Certo, tra 1.500 euro di cocaina, consumata ininterrottamente per tre giorni e infarcita di altri prodotti allucinogeni e un grammo e mezzo di hashish, ceduto per pochi euro, la presidentessa non è riuscita a cogliere la sostanziale differenza e gravità. Come se ciò non bastasse, la “somma” presidentessa si è anche sentita in dovere di valutare e giudicare l’operato della precedente dirigente scolastica, dichiarando a Repubblica il 23 marzo 2016, con straordinaria e lucida inesattezza che durante la dirigenza della preside Emilia Marano (che secondo la presidentessa sarebbe stata reggente e non preside titolare) il Virgilio era abbandonato a se stesso e che solo da tre anni, con la nuova dirigente le regole vengono fatte rispettare. La presidentessa ignora o vuole ignorare che il liceo proprio in uno dei due anni della titolarità (e non reggenza) della preside Marano non fu occupato dagli studenti, proprio perché non c’era alcun motivo per farlo, grazie alla straordinaria capacità di dialogo e mediazione umana e culturale che quella dirigente esercitò sull’intera comunità scolastica. L’anno successivo gli studenti occuparono, come sempre sulla base di una motivazione politica, e in concomitanza con numerosi altri licei romani. La presidentessa Matteucci, inoltre, non sembra e di fatto non è la voce né unanime né maggioritaria dei genitori del Virgilio. Il liceo ha costituito, come è ben noto, un comitato genitori ed eletto un presidente: Roberto Caracciolo. A chiunque visiti il sito www.liceovirgilioroma.eu , è palese che il comitato genitori, quindi la maggioranza di chi ha votato il presidente dello stesso comitato, non è espressione di quella linea di pensiero e di azione che la dirigente scolastica e la sua presidentessa del Consiglio di istituto si ostinano a propalare.
Si abbia quindi il coraggio e l’onestà di dire e riconoscere che il liceo Virgilio vive e subisce al proprio interno una condizione di profonda e già lunga sofferenza, di disagio e di divisioni odiose che tendono a escludere o mettere alla porta con ogni mezzo possibile, chi osa dissentire o proporre quanto non rientra nei piani mirati della dirigenza, e di chi ne trae utilità diverse, non meno e nella fattispecie, dalla maggioranza selezionata, all’interno del consiglio di istituto, del quale lo studente arrestato faceva parte.
Lo studente arrestato, Luca Giordano, è stato per un anno mio alunno e avrebbe continuato ad esserlo se la dirigente scolastica non mi avesse rimosso – nonostante i numerosi dissensi degli alunni - da quella classe e anche da altre. Le ragioni con le quali la dirigente mi motivò l’allontanamento da quella classe le potrei comunicare solo al pubblico ministero titolare del procedimento, qualora lo ritenesse opportuno. Per quanto io possa attestare dalla mia conoscenza dello studente e per l’esperienza maturata anche di altri contesti, ritengo che non si tratti di persona più problematica di quelle presenti e comuni in tutte le scuole, connesse anche ad una fase della crescita e dello sviluppo della coscienza che ogni persona, in modo sempre diverso, vive e afferma. Ritengo con maggior certezza che, nel caso di Luca, non si tratti di individuo criminale né di contesto familiare o socio-culturale deprivato di modelli e pratiche dalla forte connotazione civile ed etica. Il trattamento che però gli è stato riservato, rischia di equipararlo ad avvezzo malfattore. Questa assunzione di falsa identità che Luca ha dovuto subire nel luogo dove egli stesso ha ammesso di aver commesso errori, dove è stata organizzata la sua “cattura” e dove si vivono gli anni più belli della vita, è tristemente rivelata dall’appellativo col quale Luca si è firmato nella lettera che tutti conosciamo: uno spacciatore. Benché gli elementi per provare il reato sono innegabili, la competenza di ogni valutazione e giudizio sarà delle sedi proprie e tra le parti, nel processo che si terrà.
Tornando alla situazione generale del liceo Virgilio, del quale questa esperienza rappresenta un’acme, su alcuni dati oggettivi, documentati e inconfutabili ci si deve assolutamente interrogare. Essi sono i seguenti: il piano dell’offerta formativa triennale (PTOF), votato a maggioranza nel consiglio di istituto con l’unanime voto contrario della rappresentanza degli studenti e della maggioranza dei genitori; l’elevatissima richiesta di nulla osta (più di cento), da ottobre a febbraio, per il trasferimento di alunni ad altra scuola; la palese spaccatura nelle votazioni all’interno del collegio docenti; il ricorso, fino al parossismo, dei cosiddetti “consigli di disciplina” con convocazione dell’intero consiglio di classe, al fine di irrogare sanzioni disciplinari gravissime, per questioni sulle quali la pedagogia del dialogo, la responsabilizzazione e la fiducia avrebbero potuto sortire effetti migliori; il bassissimo numero di iscrizioni, rispetto a quello che si registrava fino a tre anni fa, e che quest’anno è ancora di più diminuito, con conseguente riduzione della formazione delle prime classi nonché del numero dell’organico dei docenti. Questo ultimo dato costituisce una vera perdita poiché tanto nell’utenza, quanto nel corpo docenti, il Virgilio ha vantato storicamente frequentazioni illustri. Tra gli ex alunni, oltre che nel passato Elsa Morante, sono passati dal Virgilio e ancora oggi lo frequentano figli di esponenti politici e di governo, come anche di dirigenti del settore pubblico e di famosi giornalisti, i cui nomi sono noti a tutti. Tra i docenti, ad esempio, la validissima professoressa (oggi in pensione) di italiano e latino Maria Rosaria Severino, sorella della ex ministra della Giustizia, Paola, nel governo tecnico Monti (dal partito di Monti, è noto, proviene l’attuale ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, prima del suo passaggio al Partito Democratico renziano); più indietro nel tempo, il professor Vinci Verginelli che ha donato la sua ricchissima e preziosa biblioteca di rari testi ermetici e rinascimentali alla biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei. È un vero peccato che un liceo così prestigioso sia finito sulle cronache nazionali solo per un grammo e mezzo di hashish o per l’occupazione di due settimane. Le scritte dentro e fuori i muri della scuola che invitano la dirigente ad andarsene, sono rivelatrici di una sofferenza diffusa, prolungata e divenuta, oggi, insostenibile. Anche all’interno del corpo docenti si vive questo disagio. Non per ultimo, tra questi dati vanno messi in evidenza: il risultato delle elezioni, svoltesi il 28 ottobre scorso, per il rinnovo della componente alunni, all’interno del consiglio di istituto e quelli per il rinnovo della rappresentante docenti RSU. La lista n. 1, composta e sostenuta dagli stessi alunni che oggi risulterebbero incriminati, e definiti come “persone violente” e “esigua minoranza”, ha ottenuto 813 preferenze e conquistato tre seggi su quattro. L’altra, la n. 2, preferita apertamente dalla dirigente scolastica, ha ottenuto 399 voti. Anche nelle elezioni per il rinnovo della RSU, ha ampiamente prevalso nei risultati il voto dei docenti che mirano all’unità della scuola, che vorrebbero un clima più sereno e imparziale e che sono estranei ad ogni compiacenza della dirigente.
Come si fa, allora, a parlare di “esigua minoranza”?
Non tocca a me né a nessun altro che non sia investito dei poteri che la Costituzione assegna alla Magistratura, soprattutto con l’articolo 112, e agli imputati con i primi due commi dell’articolo 27, valutare o giudicare se quello che è accaduto sia stato giusto o sbagliato. Questo dovrebbe valere, oltre che per i firmatari della lettera inviata a Il Messaggero, in primo luogo per la dirigente scolastica che, sulla pelle di un alunno, si è riempita la bocca della parola “Stato”, identificando o scambiando azione educativa con intervento repressivo. L’azione educativa non si espleta esclusivamente in convegni e conferenze o in passerelle che della legalità e del sentimento della legge sono solo la forma. L’azione educativa si espleta, colpisce e rivela la sua efficacia solo se si riesce a parlare quotidianamente allo spirito degli interlocutori, di tutti gli interlocutori, soprattutto di quelli ritenuti più lontani e dissidenti. Insegnare ed educare significa principalmente mettersi nelle condizioni di apprendere da chi ha un pensiero o un sentimento che non è il nostro e dal quale possiamo trarre nuovi sensi dalle cose e dall’esistenza comune. Sicuramente, anch’io, come docente, non sono riuscito a trasmettere quel messaggio forte ed efficace che avrebbe potuto evitare ciò che invece è accaduto. Riconosco, pertanto, in tutto ciò anche i miei limiti e le mie responsabilità.
Mi chiedo: quante volte, ad esempio, e con quale spirito o atteggiamento, Luca o altri alunni ritenuti problematici o giudicati “violenti”, siano stati chiamati individualmente in presidenza o anche a colloquio da quei docenti che magnificano attività culturali eccellenti e che contribuiscono all’”illuminato operato del liceo”, per cercare di capire l’uomo e prepararlo alla vita e non per raccogliere le prove per farli incriminare?
Chiunque vive il mondo della scuola, della paideia come scelta di vita e non di mestiere o di carriera, deve vivere contemporaneamente questa responsabilità e sentirsi coinvolto, in prima persona, per tutto ciò che accade. Non abbiamo saputo custodire quanto ci è stato affidato dallo Stato e perciò la risposta che oggi qualcuno deve dare non può essere diversa da quella che Caino diede a Dio quando Dio gli chiese: «Caino, dov’è tuo fratello?» e Caino che aveva ucciso suo fratello, rispose: «Non lo so, Signore, sono forse io il custode di mio fratello?» Ecco, allora, che si invoca lo Stato, lo Stato etico in grado di assorbire e neutralizzare i limiti e le incapacità di chi con lo stesso Stato ha firmato un contratto e nel medesimo Stato cerca tutela e giustificazione e, nel caso peggiore, si dà una identità che prima non avrebbe mai potuto avere. «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, e soprattutto niente contro lo Stato». Così tuonavano lapidarie, da Milano, il 28 ottobre 1925, le parole del duce del fascismo Mussolini, mentre Giovanni Gentile, il filosofo dell’attualismo, aveva già da un pezzo elaborato il Sommario di pedagogia come scienza filosofica. Solo che, in molti punti, la scuola di Stato di Gentile non coincide con la scuola fascista, obbligata invece a fornire unicamente cittadini obbedienti e servili. Quando lo Stato etico si intreccia col mito del duce e interviene all’interno, nel cuore dello spazio della formazione e della crescita, in quel sacrario dove si espleta l’attività educativa e si compie la più alta esperienza dello spirito umano,“colpendo uno per educarne cento”, la paideia ha sperimentato il proprio fallimento e ha ceduto le armi della scienza e la forza dello spirito e del sapere a quella, pur legittima, dei drappelli, costretti dallo stesso Stato a supplire o surrogare la negligenza o l’incapacità di chi avrebbe potuto certamente evitare, in quel luogo e in quel caso, il loro sconvolgente intervento.
Infine, altrettanto tuonanti e lapidarie sono state le parole della dirigente scolastica, alla Radio 24, nel corso della già citata intervista: «è un combattimento. Vale la pena farlo per il bene dell’Italia». Già, per il bene dell’Italia…! Corsi e ricorsi storici, avrebbe sostenuto il Vico della Scienza nuova. Infatti, per essere più esplicitamente coerenti col pensiero della attuale dirigenza scolastica: «Pronti, ieri, oggi, domani al combattimento per l’onore dell’Italia» dovrebbe essere l’iscrizione che, da subito, si potrebbe apporre all’ingresso del liceo Virgilio e che andrebbe a sostituire quella tratta dal VII libro dell’Eneide e che con le stesse finalità nell’anno XVI dell’era fascista, venne scolpita sull’ingresso dell’edificio nuovo, sul Lungotevere: HINC PROGENIEM VIRTUTE FUTURAM EGREGIAM. Il verso però continua: ET TOTUM QUAE VIRIBUS OCCUPET ORBEM. La traduzione è la seguente e non ha bisogno di ulteriore commento: Avrebbe avuto progenie egregia di valore, da sottomettere il mondo con la forza.

Prof. Dr. Phil. Maurizio Cosentino
Docente titolare di filosofia nel Liceo Statale Virgilio

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